Tante mappe, nessuna destinazione : i problemi dell’Europa della difesa

Tante mappe, nessuna destinazione : i problemi dell’Europa della difesa

Federico Fabbrini / 27 novembre 2025

Commento n. 016/2025 NS

Il 19 novembre 2025 la Commissione europea congiuntamente all’Alto Rappresentante dell’UE per la politica estera e la sicurezza ha presentato l’ultimo piano per rafforzare l’Europa della difesa, con un pacchetto di misure incentrate sulla mobilità militare. Nello specifico, la Commissione e l’Alto rappresentante hanno rilasciato una comunicazione congiunta sulla mobilità militare; la Commissione ha altresì pubblicato una comunicazione che definisce una “mappa per la trasformazione dell’industria della difesa”, finalizzata a liberare l'innovazione dirompente per la prontezza della difesa; ed essa ha anche presentato la proposta di un regolamento, che dovrà essere valutato e approvato congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio, che stabilisce un quadro di misure per facilitare il trasporto di materiale militare, di prodotti militari e personale attraverso l’Unione. Il tutto condito da comunicati stampa dai toni roboanti, fogli informativi dalle grafiche attraenti, e immancabili allegati annessi.

Il pacchetto della Commissione europea è il più recente tentativo da parte delle istituzioni comunitarie di individuare una mappa per integrare la difesa nell’UE, specie alla luce delle incertezze nei rapporti transatlantici conseguenti alla ri-elezione di Donald Trump alla presidenza degli USA. Infatti, questa mappa fa seguito, tra gli altri, al piano Re-Arm-EU presentato dalla Presidente della Commissione a inizio marzo 2025; al libro bianco sulla difesa, denominato “Prontezza 2030” e approvato congiuntamente dalla Commissione e dall’Alto rappresentante sempre nel marzo 2025; nonché ad un'altra comunicazione congiunta di Commissione e Alto rappresentante, chiamata “preservare la pace – mappa per essere pronti alla difesa entro il 2030”, pubblicata nell’ottobre 2025. Il tutto d’altra parte, era stato preceduto – in seguito all’aggressione russa dell’Ucraina – dalla Bussola Strategica, approvata dal Consiglio nel marzo 2022; dalla comunicazione congiunta della Commissione e dell’Alto rappresentante sull'analisi delle carenze di investimenti nel settore della difesa e sulle prospettive di percorso, del maggio 2022; e da un ulteriore comunicazione congiunta “per una nuova strategia industriale europea per il settore della difesa: conseguire la prontezza dell'UE attraverso un'industria europea della difesa reattiva e resiliente”, del maggio 2024; oltrechè da un rapporto di alto livello intitolato “sicuri insieme: un percorso verso un’Europa pienamente preparata” scritto su richiesta della Commissione dall’ex Presidente della Finlandia Sauli Niinistö e pubblicato nell’ottobre 2024.

Da ormai alcuni anni, pertanto, gli uffici della Commissione europea e del Servizio europeo per l’azione esterna stanno producendo un turbinio di mappe, percorsi, bussole e altri documenti variamente denominati, finalizzati ad identificare un percorso per rafforzare la difesa in Europa. Purtroppo, però, la sensazione è che tra tutte queste mappe l’Europa si stia perdendo, non sapendo davvero quale sia la sua destinazione. Al fondo, infatti, tutte queste iniziative – pur lodevoli nelle loro aspirazioni – sono caratterizzate da un errore metodologico comune: ovvero quello di affidarsi alla buona volontà degli stati membri per aumentare le capacità militari collettive dell’UE, e dunque la sua difesa e deterrenza. Naturalmente, le iniziative della Commissione sono vincolate. Infatti, nell’assetto attuale dell’UE come definito dai trattati europei, la politica di difesa è sottoposta a regole di funzionamento speciali nelle quali dominano le istituzioni intergovernative (Consiglio Europeo), mentre le istituzioni sovranazionali (Commissione e Parlamento) hanno un potere molto limitato.

Proprio per questo motivo, gli spazi dove la Commissione prova ad inserirsi sono quelli più legati al mercato interno, tipica competenza comunitaria, nella quale essa ha più competenze. E’ in quest’ottica che si spiega, già da qualche anno, lo sforzo della Commissione di rafforzare l’industria della difesa europea, anche con l’utilizzo del bilancio comunitario per incentivare la produzione e l’acquisto congiunto delle munizioni, in parte da trasferire all’esercito ucraino. Inoltre, è sempre in quest’ottica che si deve leggere la proposta della Commissione nel pacchetto sulla mobilità militare presentata questa settimana di migliorare la circolazione di mezzi e personale militare da uno stato membro dell’UE all’altro: l’unica misura dotata di valore giuridico nel pacchetto della Commissione è infatti proprio la proposta di regolamento destinato a creare un quadro che facilita il trasporto di mezzi e soldati, che si fonda sulle competenze giuridiche in materia di trasporti (articoli 91 e 100 TFUE). Sfruttando i suoi poteri regolatori nel mercato interno – di fatto l’unica vera arma che ha – la Commissione ha altresì proposto di creare un regime di emergenza, la cui attivazione sarebbe rimessa al Consiglio, e per effetto dei quali in casi di necessità e urgenza i mezzi militari potrebbero spostarsi attraverso i confini nazionali lungo una serie di corridoi strategici in deroga alle norme e certificazioni normalmente richieste.

Nondimeno, l’utilizzo di slogan da pubbliche relazioni come quello di una “Schengen militare” (il corrispondente nel campo della difesa dell’area Schengen, che consente la libera circolazione delle persone tra stati membri dell’UE) nascondono una verità amara: ovvero che quasi quattro anni dopo l’aggressione russa dell’Ucraina, e un anno dopo la rielezione di Donald Trump alla presidenza USA, l’UE non ha fatto alcun balzo in avanti nell’integrare la sua difesa comune. Di fatto, l’assetto attuale della difesa europea rimane quello inizialmente concepito dal Trattato di Maastricht del 1992 – e da allora i progressi sono stati minimi. Ciò è conseguenza diretta del ruolo degli stati membri, che gelosamente custodiscono la propria sovranità nel campo militare (in alcuni casi anche per difendere un principio di neutralità previsto nei loro ordinamenti interni) e ostacolano lo sviluppo di una vera difesa europea. Sebbene questa ai sensi dell’articolo 42 TUE sarebbe possibile, il fatto che il Consiglio europeo debba deciderlo all’unanimità, e in seguito a procedure di ratifica conformemente alle regole costituzionali nazionali, ha sostanzialmente reso impossibile un reale sviluppo.

Alla luce di ciò urge però pensare a delle soluzioni diverse per fare avanzare l’Europa della difesa, e qui, ironicamente, il precedente di Schengen evocato dalla Commissione e dall’Alto rappresentante nel recente pacchetto torna utile. La rimozione delle frontiere interne all’UE fu infatti inizialmente realizzata con un trattato ad hoc, concluso nella cittadina lussemburghese di Schengen, e sottoscritto nel 1985 da solo alcuni degli allora stati membri dell’UE. Nel corso del tempo l’accordo di Schengen è stato poi integrato nel trattato UE, ma tuttora non tutti gli stati membri dell’UE hanno aderito al corrispondente acquis (e d’altra parte vi sono paesi esterni all’UE che pure partecipano a Schengen). Il precedente di Schengen (con cui alcuni stati membri hanno ceduto la loro sovranità sulla sicurezza interna dei loro confini) dovrebbe quindi davvero essere preso a modello nel campo della difesa pensando ad un accordo tra stati che condividono di cedere la loro sovranità esterna nel campo della difesa, attribuendo poteri ad un’organizzazione sovranazionale capace di esercitarli. Questa è proprio l’idea della Comunità europea della difesa (CED), che fu istituita con un trattato sottoscritto dai sei paesi fondatori nel 1952 e che, come ho spiegato altrove, potrebbe essere rimessa in vita con la ratifica dei due paesi (Italia e Francia) che non lo avevano ratificato all’epoca. La CED, proprio come Schengen, sarebbe un trattato separato dall’UE, al quale partecipano i paesi che vogliono, ma che sono disposti a prendere sul serio la difesa comune. In conclusione, ben vengano le mappe, ma averne tante, e non sapere dove andare serve a poco. L’Europa della difesa ha bisogno di una destinazione, e questa è la CED.

*Professore ordinario di diritto dell’UE presso la Dublin City University; Direttore Fondatore del Dublin European Law Institute

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